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13 - Lettera a un dio

  • Immagine del redattore: Enzo
    Enzo
  • 4 giu
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 14 giu

Giorgio era seduto fuori. Sulla sedia, con i piedi sullo sgabello, a piedi nudi.

Il sole era alto, l'aria tremolava leggermente e sentii quella familiare attrazione dentro di me.

Non dolore. Non esattamente.

Più simile alla fame.


Mi sedetti alla piccola scrivania vicino alla finestra.

Davanti a me c'era un foglio di carta bianco.

La vecchia matita era nella mia mano.



Non sapevo come iniziare quando non sapevo cosa dire.

Ma sapevo che dovevo scrivere.

Non per lui. Per me.


Lo guardai.



Giorgio sedeva lì come se fosse di pietra. Ampio e immobile. Non si muoveva un solo muscolo superfluo.

Solo il sole sul petto.

Respirava lentamente. Pesantemente.

Sembrava un monumento.

Come un uomo che non desidera nulla, ma ha tutto.



Abbassai lo sguardo e scrissi:


“Giorgio, quando ti vedo, perdo un po' il controllo.

Non sei rumoroso, eppure il tuo silenzio riempie tutto.

Non so chi sei veramente.

Tutto quello che so è che mi sento piccolo con te.

E che sia giusto così."


Mi fermai. Le parole pesavano sulla carta.

Non è un'esagerazione. Semplicemente la verità.


Lo guardai di nuovo.



Si appoggiò allo schienale, con la testa contro il muro e i piedi rilassati sullo sgabello.

Le suole leggermente sporche dal campo.

Ho sentito uno sforzo nello stomaco.

Un formicolio alla gola.

I suoi piedi mi attraevano come una promessa.

Non volgare. Più profondo.

Più onesto.



Ho continuato:


"Non so perché sono i tuoi piedi a non lasciarmi andare.

Forse perché è l'unico posto in cui voglio e posso presentarmi.

Non accanto a te. Non davanti a te.

Ma sotto di te.

Non voglio farti male. Non voglio niente da te.

Servire e basta.

Tranquillo.

Grato."



Non mi ero mai sentito così nudo.


Mi fermai.

Fai un respiro profondo.


Poi lo guardai di nuovo.



Lui alzò semplicemente le sue grandi mani e le mise dietro la testa.

Il movimento gli fece flettere le spalle.

Ho visto i peli delle ascelle. Mi sono chiesto come sarebbe stato annusarli direttamente. Leccargli il sudore.

Vidi i muscoli delle sue braccia e il suo petto espandersi e contrarsi.

Era così forte. Così fisico.

E comunque non un grammo di troppo.

Un uomo come non ne avevo mai visti prima.

Mai sentito.



Ho finito di scrivere:


"Il tuo corpo parla. Senza parole.

Le tue mani potrebbero tenermi stretto, o tenermi lontano. Immagino come sarebbe scomparire tra di esse.

Non voglio avvicinarmi a te.

Voglio inginocchiarmi profondamente davanti a te, davanti a te.

Non perché devo farlo.

Perché non voglio altro."



Ho posato la matita.


La lettera era finita; avevo scritto come mi sentivo a Lapier. Mi sentivo bene.

Ora l'unica domanda era come ottenerla. Qui non c'erano cassette postali come a New York, e doveva procurarsela.





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