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12 – non importa

  • Immagine del redattore: Enzo
    Enzo
  • 4 giu
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 14 giu


Come dovrei interpretare questo incontro? Due uomini in giacca e cravatta. Una Fiat grigia. Parole che non capivo. Giorgio, che le conosceva. Giorgio, che rimase calmo. Giorgio, che mi guardò – e guardò oltre.


Non riuscivo a smettere di pensare. Avevo la testa piena di domande. Cosa significava "dopodomani"? Cosa avrebbe fatto allora? Cosa c'entrava con quegli uomini? Ero stato cieco o stavo semplicemente vedendo troppo?



Bevvi un bicchiere d'acqua dalla brocca di terracotta sul tavolo. Era tiepida per il caldo. E ancora una volta, Giorgio mi tornava in mente. Lì in piedi, a gambe divaricate, che mi guardava dall'alto in basso e mi porgeva dell'acqua calda. Io, inginocchiata davanti a lui.

I suoi muscoli luccicavano alla luce del mattino. I suoi piedi erano saldamente piantati nella polvere, come qualcosa che non si muove. Non si smuove. Non si interroga.



Non avevo mai sentito un bisogno simile prima. Non mi riconoscevo. "Enzo, datti una mossa!" mi dissi.


Tornai alla finestra.



E lì sedeva. Su una sedia di fronte a me, i piedi su un piccolo sgabello. Scalzo. Le piante rivolte verso di me. Era perso nei suoi pensieri. E io... sprofondai in lui.



Non riuscivo a smettere di guardarlo. Il mio sguardo continuava a vagare sui suoi piedi. Impolverati dal campo. Forti. Forti come la pietra, eppure così vivi.


Qualcosa dentro di me reagì. Inarrestabile. Fisicamente. Le domande di prima svanirono. Era la mafia? Era pericoloso? Potevo fidarmi di lui?


Non importa!



Volevo solo una cosa: essere ai suoi piedi. Piccola. Vicina. Completa. Sua serva. Non per debolezza. Non per paura. Ma per pura devozione.

Mi ricordai cosa avevo programmato di fare quella sera.



Gli scriverei. Una lettera. Anonima. Ma sincera.


Ho cercato un foglio di carta. Una penna. Ho aperto il cassetto della piccola scrivania vicino alla finestra. Bollette perse. Cartoline ingiallite. Poi: un foglio bianco. Una matita mezza spuntata. Basta.



Mi sedetti. Il foglio davanti a me. Le mani mi tremavano leggermente.


Come si scrive a un dio?



Guardai di nuovo fuori. Era ancora seduto lì. Scalzo. Silenzioso. Intatto. Sentii il desiderio di lavargli i piedi. Con le mie mani. Con il mio respiro. Con tutto il mio essere.

Avevo fame, non di pane. Non di vicinanza. Di lui.



Per il suo calore. La sua forza. Il suo odore.



I miei pensieri si riscaldarono di nuovo. Una silenziosa, urgente sensazione di bruciore si diffuse. Volevo abbandonarmi a lui. Completamente. Non perché dovessi, ma perché lo volevo.



Feci un respiro profondo. Poi appoggiai la matita sul foglio.




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