11 - "Il giorno dopo domani"
- Enzo
- 4 giu
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 14 giu
Non so quando mi addormentai quella notte. Dev'essere stato molto tardi. Il pensiero di Giorgio mi tenne sveglio a lungo. Continuavo a svegliarmi, a girarmi, a scostare la coperta, solo per riavvolgermela stretta addosso pochi istanti dopo.
Quando aprii gli occhi, era già giorno, ma era ancora presto. Fui svegliato dal rumore di un motore, un'auto come raramente capitava nel nostro villaggio. Pesante, lenta, profonda.

Il mio primo sguardo cadde sul pavimento. Eccolo lì: il vecchio calzino scolorito di mio nonno. Quello che avevo usato la sera prima per... calmarmi.
Giaceva lì, pieno di tutti i miei pensieri, i miei desideri, la mia vergogna. Una testimonianza silenziosa di ciò che Giorgio aveva innescato in me.

Mi sono seduto. Il mio corpo era come se avesse attraversato una tempesta: pesante, agitato. Mi sono vestita, lentamente, ancora stordita.

Fuori, ho sentito delle voci. Spiacevolmente sommesse. Poi ho sentito chiaramente qualcuno chiamare:
"Giorgio! Vieni fuori. Baciamoci le mani!"

Mi bloccai. Questo saluto... era usato solo da un certo tipo di persone. Da uomini con cui nessuno in Sicilia voleva avere a che fare. Uomini di potere davanti ai quali non ci si inchinava, ma si bruciava.

Mi avvicinai furtivamente alla finestra.
Una Fiat 509 grigia parcheggiata davanti a casa. Accanto c'erano due uomini in abiti immacolati. Cappelli scuri, scarpe lucide. Troppo eleganti per il nostro paese. Troppo silenziosi. Troppo eleganti.

Mafiosi.
Giorgio uscì di casa. Lentamente, come sempre.

A piedi nudi, con indosso solo i suoi ampi pantaloni beige, il sole del primo mattino tracciava linee dorate sulla sua pelle. I suoi muscoli luccicavano leggermente per il sonno. La sua postura era calma, dignitosa, come se quel momento gli appartenesse.

Si avvicinò e le porse la mano. Nessun sorriso.
Trattenni il respiro.

Cosa c'entrava Giorgio con uomini simili?

Mi strinsi ancora di più alla finestra. Le loro voci... troppo basse. Intenzionalmente. Cercai di leggere le loro labbra. Solo una parola mi giunse chiara:
"Dopodomani. Lo prometto. Dopodomani."
Non di più.

Uno degli uomini squadrò Giorgio da capo a piedi. Non era un'occhiata di curiosità, piuttosto come se stesse controllando cosa avrebbe potuto prendere presto. L'altro si limitò ad annuire. Entrambi i volti rimasero impassibili. Ma il loro atteggiamento la diceva lunga: non era un invito. Era un avvertimento.
E Giorgio? Rimase saldo come una roccia. Nessun gesto, nessun sussulto.
Come se tali incontri non fossero una novità per lui.

Poi, all'improvviso, i suoi occhi incontrarono i miei.
Diretto.
Senza emozioni.
Nessun riconoscimento. Nessun sorriso.
Come se fossi aria.

Si voltò di nuovo verso gli uomini.
Come se non mi avesse mai visto.
Qualcosa dentro di me si è rotto.

Forse ho immaginato tutto.
Il suo sguardo. La sua vicinanza. Il calore della sua voce.
Forse ero solo un giovane sciocco, innamorato di un'illusione.

Parlarono ancora per qualche minuto. Poi gli uomini salirono in macchina. Le portiere si chiusero lentamente, come un sigillo. E poi se ne andarono, con calma, con sicurezza.
Silenzio.

Rimasi alla finestra, fissando il punto in cui Giorgio era ancora fermo.
Non si mosse.
Solo il suo sguardo seguì l'auto finché non scomparve dietro la curva.

Poi mi guardò. Non sorpreso. Non amichevole. Solo un cenno del capo: calmo, pesante, insignificante.

E poi se n'è andato.

Rimasi lì, immobile, con il cuore ben saldo nel petto.
Era come se una porta si fosse aperta e poi si fosse richiusa silenziosamente.
Cosa c'entrava Giorgio con questo genere di persone?
Cosa significava "dopodomani"?
Di cosa si trattava... veramente?
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