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21 – Il mio giuramento

  • Immagine del redattore: Enzo
    Enzo
  • 12 giu
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 14 giu

Ero inginocchiato davanti a lui, con la testa sul pavimento, il cuore che mi martellava nel petto. Lui posò il piede dalla mia testa, a terra, accanto a me.



Gli avevo detto tutto.

E lui l'aveva accettato, come un re che non si sorprende più di essere adorato.



"Alza la testa e guardami", disse.

La sua voce era calma, ma c'era durezza nella suo tono.



Alzai la testa.

Lentamente.

I miei occhi cercarono brevemente i suoi –

ma le mie labbra cercavano qualcos'altro: i suoi piedi.

La sue sole del piedi. E non solo.



Lo sapeva.

Lo sapevo.

Tutto in me era pronto.


"Vuoi leccarla?" mi chiese di nuovo.



"Vuoi metterci le labbra intorno? E farai qualsiasi altra cosa tii chiedo, prenderai in bocca quello che ti do e ingoierai quello che ti dò?"



Non potevo più mentire e lo volevo.

"Sì. Devo. Non posso fare altrimenti. Tu sei il mio padrone!"


Mi concentrai su una vena sopra il suo piede. Mi chiesi se anche il suo pene fosse altrettanto venoso.

La mia mano si sollevò, quasi da sola. In trance.

Ci passai sopra il dito.

Solo brevemente. Istintivamente.



Un errore.

"Giù le mani, bastardo!" mi sbottò.

"Ti ho dato il permesso di toccarmi?

Io? Il tuo padrone?"



La sua voce mi trafisse.

Ho sussultato.


Rimasi inginocchiato: più piccolo, più debole, più umile.

Ma ero orgoglioso che avesse detto "Il tuo padrone".

Ho sentito queste parole nel mio cuore. Come un lampo.


"Io dico cosa fai e cosa non fai. Io, solo io!



E altrimenti: quella è l’uscita.”

Indicò la porta.



Non guardai la porta.

Non c'era alcun motivo.

E lui lo vide.

E ho sentito come questo lo rendeva più forte.



"Puoi servire", disse.

"Ma se mi tocchi di nuovo senza chiedere...

te ne pentirai!"



Si sporse verso di me.

La sua voce era calma. Profonda.

E mi passava attraverso il midollo e l'anima:



"Se qualcuno dovesse mai scoprire cosa stiamo facendo qui -

chi sei tu e chi sono io –

imparerai a conoscere il diavolo che è in me.

Capito, ragazzo? Nessuno."



Ho annuito.

Lentamente. Con fermezza.

Ho percepito il pericolo.

E ho sentito il desiderio di perdermi in esso.


Poi disse:


"E poi, non sono frocio.

Tu sei il frocio che mi serve. Basta!"



Si appoggiò allo schienale della sedia, guardandomi attraverso e dentro di me allo stesso tempo.


“Pensaci attentamente.

E rispondimi, adesso.

Vuoi essere mio schiavo volontariamente?

Pensa prima di parlare.

Non potrài più tornare indietro."



La mia mente era spenta. Non riuscivo a pensare. Volevo solo servire. Lui. Il mio padrone.


"Si signore, sono il tuo schiavo e tu il mio padrone!"


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